CELLINO ALLO SCOPERTO: “ANNULLIAMO LE RETROCESSIONI”

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Massimo Cellino è tornato a Cagliari, dalla famiglia. Lo ha apertamente detto all’Unione Sarda in una lunga intervista nella quale ha parlato tanto di Brescia e del Brescia, dei suoi progetti per il futuro del calcio italiano e della sua società. Ecco un estratto della chiacchierata con i quotidiano del quattro mori.

«Ho raggiunto la mia famiglia a Cagliari otto giorni fa e da allora sono in quarantena. Mia moglie e i miei figli non sono riusciti a rientrare a Londra e a quel punto ho preferito stare con loro. Provo a occupare il tempo cucinando. Ma non riesco a scacciare via il tarlo che ho in testa. A Brescia ho lasciato l’inferno. Benedetta isola, qui non si ha la minima percezione di ciò che sta succedendo da quelle parti. Un massacro».

Massimo Cellino ha avuto paura?

«Ho avuto molta paura. Tre miei dipendenti sono in ospedale, la segretaria c’è stata addirittura un mese. Più che paura è terrore. Mi misuravo la temperatura in continuazione e non avevo il coraggio di togliere il termometro per controllarlo. Una volta ha suonato, ho iniziato a sudare e tremare. È tutto così assurdo. Come quel mese…».

Il riferimento è al periodo passato in prigione.

«Quella è una ferita socchiusa che porto dentro. Questo maledetto coronavirus l’ha riaperta. Sono due situazioni diverse ma allo stesso tempo simili. E come allora, c’è solo un modo per far passare le giornate più velocemente: star svegli la notte e andare a dormire la mattina alle 8. I bresciani? Stanno soffrendo in silenzio e affrontando questa emergenza con dignità. Meritano rispetto».

A Cagliari ha fatto una donazione importante…

«Inizialmente l’idea era rivolta proprio a Brescia. Ho chiamato un amico medico a Cagliari per aiutarmi ad acquistare quindici ventilatori e mi ha risposto: “non è così semplice, tra l’altro in Sardegna non ne abbiamo tantissimi”. Sono rimasto allibito. Solo a Brescia ce n’erano duecentocinquanta, duemila circa nell’intera Lombardia. Mi son detto: “se succede qualcosa nell’Isola muoiono tutti come zanzare”. Così ho deciso di darli all’ospedale Santissima Trinità. I primi dieci sono già stati consegnati, gli altri arriveranno entro maggio, spero».

Come vede Cellino il calcio ai tempi del coronavirus?

«Il calcio è tutto per me. Solo ipotizzare in questo momento una ripartenza del campionato tra uno o due mesi mi sembra davvero irrispettoso e assurdo».

Lei è tra i presidenti che chiuderebbero qui la stagione: perché?

«Per me il campionato è finito. Punto. Non si può giocare facendo finta che non stia succedendo nulla, ci vuole rispetto. Ma anche tecnicamente sarebbe impossibile ripartire. Non è mai successo che i calciatori siano stati per così tanto tempo fermi. Come si può solo pensare di giocare tredici partite in un mese per poi magari ricominciare subito la prossima stagione? Si strappano al primo giro di campo. Che senso ha?».

Cellino prosegue nell’idea di non schierare la squadra!

«Se ce lo dovessero proporre oggi, non mi presento. Non mi umilia giocare in Serie B ma farlo sulle tombe dei nostri cari».

Quale soluzione proporrebbe Cellino?

«Campionati nulli e ripartire dallo 0-0. Se poi Vigorito dice che il Benevento in Serie B ha venti punti di vantaggio, bene, benissimo, diamogliene altrettanti di bonus quando inizierà la nuova stagione. E così pure al Monza in C e agli altri. Non vedo altra via d’uscita. Stiamo parlando di pandemia, causa di forza maggiore. Tra l’altro, il 30 giugno scadono tutti i contratti dei calciatori e i bilanci delle società. Come si può giocare a luglio?».

Come sta affrontando la crisi il Brescia?

«Allenamenti a casa con videochat, fisioterapia per chi ne ha bisogno e così via. Taglio stipendi? Non ho avuto ancora la possibilità di confrontarmi con i calciatori. Ma è inutile prendersi in giro: se il campionato dovesse concludersi è giusto che li paghi, altrimenti no. Dipendenti? Hanno ricevuto tutti regolarmente la busta paga a marzo e così sarà anche questo mese. Sin che posso, preferisco evitare la cassa integrazione».

Perché ha richiamato Lopez dopo l’esonero di sei anni fa?

«Diego resta un figlio per me. A furia di prendere schiaffi è cresciuto e maturato tantissimo. Avevo provato a portarlo a Brescia già a novembre ma non se l’è sentita di lasciare il Peñarol anche se mancavano poche partite alla fine».

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